L’eremita contemplativo

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Prima del terremoto del 2016, l’eremo di SS. Croce aveva una vista invidiabile. Accessibile solo a piedi per l’antico sentiero benedettino, ben posizionato sulla parte più alta del colle, attorniato da boschi freschissimi di cerri e bei pascoli ombrosi, l’eremo si affaccia sulla conca amatriciana dove, in passato, si poteva ammirare in tutti i suoi dettagli l’ormai distrutta Amatrice, mentre tutt’intorno, come una cornice della magnificenza naturale, ci sono i monti della Laga, un anfiteatro mistico come l’eremo stesso.  Siamo nel 2010, estate. Da un amico ottengo un numero di telefono. É così che parlo con Fabio (chiamiamolo in questo modo) che mi dà un appuntamento, spiegandomi come raggiungerlo. Sembra complicato, ma non lo è. Lascio l’auto come consigliato. E su, a piedi, per il sentiero benedettino. Cammino quieto: il sentiero è già meditazione. Qualcuno, nella storia, lo ha lavorato, strutturato, accudito. Lo ha reso “preghiera”. E lui è lì, mi aspetta su una panca, in un punto d’ombra, a ridosso della piccola chiesa che costituisce una parte dell’eremo. La restante è la modica e rustica abitazione dove, da qualche mese, vive, nel silenzio dei boschi, sotto questo cielo largo e luminoso, con quel panorama che sarebbe appetibile per un resort a cinque stelle. Ma l’eremo non ha stelle, se non quelle del cielo. Fabio, con una serenità che incanta, mi racconta la sua storia. É un architetto ed è scrittore. La sua origine è una bella famiglia di Roma con rilievo sociale. É colto, ha molti amici, opportunità importanti, uno studio professionale, ma gli mancava questa esperienza nel bel mezzo della sua particolare folgorazione mistica: si definisce eremita apprendista e contemplativo.

Parliamo a lungo, Fabio ed io. Ci capiamo, ci ripromettiamo di incontrarci ancora. E così sarà, fino a quando, trascorsi un certo numero di mesi, deve tornare a Roma, per continuare il suo percorso con altre esperienze spirituali, senza dimenticare la scrittura. Perché? Può essere questa la domanda. Perché abbandonare una carriera sicura e appagante, scegliendo scomodità e rinuncia? Per la verità queste domande non me le sono mai posto. Mi torna invece in mente una lettura che feci sullo stile di vita di Francesco d’Assisi: per stare nel mondo, occorre staccarsene. Francesco  passava giorni in solitudine eremitica a La Verna per poi tornare nel bagno di folla. Occorre fare il pieno di consapevolezza per essere davvero se stessi e mantenere l’imperturbabilità, la “visione”. Se si stesse solo “nel mondo” verrebbe meno quella capacità di ascolto profondo, non si affinerebbero sensibilità e percettibilità, si interromperebbe il dialogo sottile con il proprio profondo.

L’eremita contemplativo, pur senza l’eremo, semplicemente passeggiando in riva al mare, o in pineta, è “in contatto”, ha un legame solido tra sé e il sospiro del mare e il volteggiare lieve di una foglia. É in grado di cogliere segni e messaggi che sfumerebbero, se non vengono allenate le capacità percettive.Forse non ce ne accorgiamo ma inconsciamente, o forse anche in piena cognizione, è quello che un po’ tutti cerchiamo, a tratti, quando valutiamo di fare una breve vacanza al lago o in montagna, o quando ci cimentiamo con il trekking o un solitario giro in bicicletta.

In tempi di social network, tra un  twett e un post, sembra non ci sia tempo di rallentare. I selfie chiamano e le performance reclamano l’attenzione. Tutto sbagliato? Non necessariamente. Sono certo che oggi anche Fabio usa i social e lo farebbe pure Francesco d’Assisi. Non sono i mezzi ad avere una colpa. Tutto sta negli atteggiamenti mentali, nella relatività delle cose. Per non credere alle bufale, per non illudersi che il proprio valore dipende dai “mi piace” occorre conoscersi, e per farlo occorre sapersi allontanare per poter tornare con una solidità interiore e con un certo distacco emotivo.

Non a caso, in alcune scuole sperimentali, ci sono ore dedicate alla meditazione. I bambini acquisiscono padronanza di sé, migliorano in concentrazione e abilità espressiva, sono più lucidi e generalmente più bravi nelle materie. Sanno cooperare e interagire con più naturalezza. Non hanno scatti d’ira. Insomma, non solo preghiera. Essere contemplativi e meditavi riguarda la pienezza dell’essere, tutte le sue facoltà e potenzialità. E poi, bere una birra in compagnia avrà un sapore diverso, si sapranno cogliere sfumature che rendono ricca anche l’occasione più semplice.

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