Preparativi per la Sacra 2018: la barca verrà illuminata dall’interno

La barca che appare in questa foto è disegnata da Carlo Gentili

di REDAZIONE –

GROTTAMMARE – Fervono i preparativi per la Sacra, principale evento religioso e civile della Città di Grottmmare, che ricorre ogni qualvolta il primo luglio capiti di domenica. Ieri mattina, presso il capannone dei mezzi comunali, si è svolto un incontro tra il sindaco e l’architetto Roberto Bua per verificare lo stato di conservazione della barca di Papa Alessandro III, il principale oggetto scenografico del grande corteo che si svolgerà a Grottammare la notte del primo luglio.

La costruzione della barca è avvenuta in occasione della Sacra 2007, sotto la direzione dell’arch. Roberto Bua ed è stata realizzata dall’azienda PGS Solution di Cartoceto. Allora si decise di investire su di una struttura filologicamente attendibile, scenografica e affascinante, soprattutto solida, capace di resistere nel tempo per sfilare anche nelle Sacre degli anni successivi.

Con largo anticipo rispetto all’evento, l’Amministrazione ha deciso di ispezionare la barca per poter valutare le condizioni generali dell’opera e programmare eventuali lavori di manutenzione. «La barca è assolutamente ben conservata – dichiara il sindaco Enrico Piergallini – Gli operai e l’ufficio cultura sono stati bravi a conservarla nel capannone comunale. Soltanto qualche piccolo acciacco dovuto al tempo, ma facilmente sistemabile. L’incontro però è stato determinante per un altro aspetto. Insieme all’architetto abbiamo deciso di illuminare l’interno della barca e di ripensare il tendaggio delle vele, affinché questa splendida struttura scenografica sia di notte ancora più visibile e suggestiva».

Il testo dell’arch.Roberto Bua che ha accompagnato il progetto della Galea 2007

Libertà di tradizione

Il bello delle storie che amiamo, che ci appassionano sta nel rileggerle, nel riascoltarle, nel riviverle. Un corteo storico per rievocare l’approdo di un pontefice sulla costa adriatica di Grottammare.
Le informazioni che ci sono giunte dalla tradizione non danno piena sicurezza se l’anno in cui avvenne l’episodio fosse proprio il 1177.
Tra gli storici sorgono alcuni dubbi se si trattasse proprio di Alessandro III o di un suo predecessore. E ancora, approdò a riva per una tempesta o impressionato dalla bellezza della costa? Se la Bolla originale si smarrì come fece nel 1803 Pio VII a scriverne una identica alla precedente?
Tra certezze e incertezze ogni volta che il primo luglio cade di domenica viene concessa indulgenza plenaria a coloro che si recano nella chiesa di san Martino.
Centinaia di figuranti sfilano in corteo vestendo costumi di sapore medievale tra stendardi e suoni di tamburi.
E ogni cinque, sei, cinque e undici anni sfila nel bel mezzo del paese una goletta o un galeone, una gondola o un gozzo secondo le interpretazione dei costruttori.
Tradizione è tradimento. Le due parole hanno la stessa origine latina dal verbo tradere che vuole dire consegnare. Per raccontare una storia, per non farla morire dobbiamo letteralmente consegnarla, rimetterla in gioco affinché venga nuovamente narrata. Altrimenti muore. Possiamo opporci ma accade proprio così. E nelle forme della galea duecentesca che sfilerà quest’anno nelle strade, per quanto, in tutto simile alle imbarcazioni dell’epoca, aiutato da un naufragio dipinto da Gentile da Fabriano, appare nuovamente il tradimento di colui a cui, in questa edizione, è stato affidato il racconto di questa tradizione.
Ridotta alle proporzioni minime per passare sotto i cavi della luce, la galea è senza carena, con un fondo piatto che alloggia ruote e meccanismi per virare nelle vie della città; come una nave fantasma, senza equipaggio, senza remi, priva di cannoni e mortai. Porta tre alberi, quello di maestra e quelli di trinchetto, vele quadre, vele latine e rande; del tutto inadeguata a navigare.
Ma non importa perché la gente accorre e riempie le strade di Grottammare.
Tra realtà e finzione la tradizione porta con sé tutta la forza della ripetizione. E proprio questo riproporsi, questo replicarsi diventa possibilità per chi partecipa di conoscere ancora meglio. Una ripetizione che desideriamo e che, come con la persona amata, ci aspettiamo si presenti sempre nuova. Quando questo accade, il rapporto è reso nuovo, rifiorisce ogni volta; perché questo accada, occorre tradire, sembra paradossale, come è necessario tradire delle orme tracciate precedentemente sulla sabbia, diversamente, per ricalcarle, ci scopriamo camminare tutti impacciati. E senza questa immedesimazione restano gesti esteriori, parole ripetute e mai dette, oggetti indossati superficialmente. All’osservatore attento tutto questo diventa insopportabile, inaccettabile come un rapporto in cui non accada nulla, in cui tutto si ripeta senza che nessuno sia presente a se stesso; se un rapporto non dona più niente il rischio è che ben presto sottragga qualcosa.
Quante volte nella memoria di un’esperienza accaduta, di una storia vissuta, siamo tornati nella stessa città, magari anche nello stesso ristorante, assistendo invece al tradimento della nostra stima, della fiducia che avevamo posto e che eravamo certi che sarebbe stata ripagata per il solo fatto di ritornare. La fine di una storia.
Il passato non potrà tornare uguale mai recita Gianni Morandi.
Ci scopriamo a recitare coscientemente ruoli già interpretati, scene vissute e che, talvolta, non ci erano neanche piaciute tanto, pensando sempre che per vivere abbiamo bisogno di altro, mentre quello che ci manca se ne sta semplicemente nascosto sotto qualche piega dell’esistenza e, nel timore di tradire il copione, forse non lo scopriremo mai.