Un contratto di lavoro abbinato a minigonna e tacco 12? No, grazie

di ROSITA SPINOZZI –

Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la medicina nel 1986 nonché donna di grande intelligenza e arguzia, era solita dire: “Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza”. Aveva, e ha tuttora, perfettamente ragione. A prescindere dall’infinita stima che nutro nei confronti di questa Signora, i concetti espressi dalla Montalcini sono sempre strettamente connessi alla realtà, perché la sua è stata un’intelligenza viva e in grado di spaziare ben oltre la scienza. Ebbene, a lei ho tanto pensato in questi giorni in cui sono riemersi episodi di cronaca dove, ancora una volta, è la figura femminile ad essere bistrattata. O peggio ancora trattata come fosse un oggetto, privo di intelletto e benchè minima capacità di raziocinio. E non mi riferisco alle “oche” di turno botulinizzate che cinguettano qua e là frasi prive di senso in reality-spazzatura, oppure a quelle che s’improvvisano opinioniste in trasmissioni televisive in cui l’unica necessità sembra essere quella di immolare il peggio sull’altare dello share. No, vado oltre. Perché da tempo ho smesso di prestare la benchè minima attenzione a queste cose. Mi preme, invece, sottolineare episodi appartenenti alla vita quotidiana, al lavoro, alle umiliazioni che spesso una donna è costretta a subire. Alcune tacciono, altre si ribellano. Resta il fatto che sono entrambe vittime di molestie. E la molestia è sottile e, subdola, s’insinua anche sotto forma di non violenza. Basti pensare a una sentenza della procura di Vicenza, che ha definito “goliardate” e “gesti camerateschi” le pacche che il direttore amministrativo di un’azienda vicentina assestava sul fondoschiena di una sua dipendente. Non si tratta di stupro, certo, ma pur sempre di una umiliazione pubblica che il “gentiluomo” ha ripetuto per più di una volta dinanzi ai colleghi, quasi a voler sottolineare  il proprio ruolo gerarchico. Poco importa se la dipendente non se l’è presa sul momento, fatto sta che lo ha denunciato per molestie sessuali. Ma la cronaca va ben oltre. Ed ecco che, mentre a Londra il Parlamento discute una legge per mettere al bando le discriminazioni sessuali in materia di abbigliamento, negli Stati Uniti Donald Trump impone alle sue dipendenti di indossare vestiti “femminili” che possano incontrare il suo favore e allietargli la vista. In sintesi abitini, gonne e tacchi alti. Si è scatenato il putiferio. Ma le “bravate” di Trump sono all’ordine del giorno e ormai non fanno più notizia. Fa notizia, invece, la pretesa di un magistrato di Rovigo della scuola privata di formazione per magistrati “Diritto e Scienza”, che avrebbe obbligato i borsisti a rispettare un dress code. Indovinate un po’ cosa imponeva alle donne? Minigonna, tacchi a spillo e trucco pesante, oltre alla firma di un contratto con clausole per vietare il matrimonio e valutare i fidanzati in base a un algoritmo: se i partner non raggiungevano un determinato punteggio, gli allievi dovevano troncare il rapporto. Ovviamente è stata aperta un’indagine disciplinare nei confronti del direttore della suddetta scuola di formazione per magistrati. Ma la “violenza” resta, ed è comprensibile il fatto che alcune ragazze coinvolte faticano ancora a riprendersi da questa situazione di disagio. Mi torna ancora in mente Rita Levi Montalcini, e mi concedo l’onore di concludere questi miei pensieri con una sua frase che è diventata il mio credo: «Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella “zona grigia” in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi».

Rita Levi Montalcini