di AMERICO MARCONI –

Per fortuna nelle festività natalizie in molte case ancora ci sono un presepio e un albero di Natale. Il presepe è espressione cristiana da quando San Francesco a Greccio, il 24 dicembre del 1223, ricordò l’evento della nascita di Gesù. Pose in una grotta un bue, un asino e una mangiatoia.

Tanto pregò e pianse dalla gioia il poverello d’Assisi che verso la metà della notte comparve tra la paglia, luminoso e sorridente, un neonato: il Fanciullo di Betlemme, come lo chiamava lui.

L’albero di Natale invece, nella festa che sta a ridosso al solstizio d’inverno, proviene dalla tradizione nordica di vedere nell’abete, pianta sempreverde, una promessa di vita nelle lunghe giornate buie dei mesi invernali. Nell’alfabeto druidico, in cui ogni lettera corrisponde a un albero, la prima (ailm) è iniziale dell’abete bianco. Per i Celti era legato alla nascita del Fanciullo divino. Ma già nell’antico Egitto l’abete veniva considerato una pianta della natività come in Grecia era sacro ad Artemide protettrice del parto.

Nel Natale del 1840 la principessa Elena di Mecklenburg, consorte del duca di Orléans, addobba un albero di Natale alle Tuileries, tra lo stupore dell’intera corte. E da allora l’usanza di decorare un abete bianco o rosso  si diffuse in tutta Europa.

Nelle zone dell’Italia centrale è usato l’abete rosso o peccio ma fino agli anni 60 nelle famiglie meno ricche veniva sostituito da un pino; di solito il pinus halepensis, tipica pianta mediterranea, molto più economica perché coltivata localmente. Nell’addobbarlo si ponevano dei fili di nylon a sostenere i flessibili rami che naturalmente si sarebbero piegati verso il basso, rischiando di far cadere le costose e bellissime palle di vetro.

C’è un’altra diffusissima usanza nel periodo natalizio: regalare rametti di vischio, avvolti in carta trasparente e fiocco rosso. Il vischio (Viscum album) è una pianta semiparassita che vive sui rami di altri alberi: conifere e querce. Per i Galli il vischio guariva ogni male e la credenza vuole che sia potente rimedio per l’epilessia, dalla sua caratteristica di stare in alto e non cadere a terra.

Nel canto VI dell’Eneide, Enea giunge a Cuma e s’inerpica fino alla caverna della Sibilla; dove prega la profetessa  di accompagnarlo nell’Ade per incontrare il perduto padre Anchise. Sibilla dice al condottiero che prima dovrà raccogliere una “ramo d’oro” che fungerà da lasciapassare e dono per la regina delle tenebre Proserpina. Enea lo trova e lo coglie: quel ramo, per l’antropologo James Frazer, è il vischio.

Ancora una gradita presenza arborea natalizia: l’agrifoglio. Già per i Romani vero e proprio talismano, ma più che la pianta (Ilex aquifolium) con le sue foglie coriacee e accartocciate, sono le bacche di colore rosso ad essere ammirate. Come i popoli del nord i Romani l’appendevano sopra l’uscio di casa per tenere lontani gli spiriti malvagi. Tanto si diffuse nei secoli tale credenza da minacciare l’estinzione della pianta che attualmente è coltivata in un centinaio di specie, anche con decorative foglie variegate. Tutte resistenti e con grande capacità di adattamento. Queste sue caratteristiche unitamente al rosso del frutto sono augurio di forza e felicità per il nuovo anno.